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Questo articolo, che occuperà per il mese di dicembre lo spazio solitamente dedicato al “Disco del mese”, è dedicato a tutti coloro che ritengono che il lavoro del recensore, nel duemilasette, sia come il lavoro del commercialista di Berlusconi, cioè una farsa.
Dico questo, con una punta d’ironia, perchè credo che parlare di dischi al giorno d’oggi sia difficile e molte volte più che passione si tratta di una qualche forma di masochismo. Si, intendo proprio dire che la stragrande maggioranza dei dischi che escono al giorno d’oggi fa schifo. Letteralmente schifo.
È colpa dell’Industria Musicale e del suo indotto aka le tv musicali, le riviste musicali e praticamente ogni cosa che rientri nel giro del music business se ogni giorno abbiamo una “next big thing”. Prendiamo i Klaxons. I Klaxons sono un gruppo di imbecilli che dal vivo non sanno suonare le cose che hanno registrato o scritto (o che qualcuno ha fatto per loro) e che da un anno circa sono in vetta alle classifiche inglesi, ci martellano su MTV. Com’è possibile? La critica si divide tra detrattori ed adoratori. I ragazzini iniziano a vestirsi con delle improponibili magliette fluorescenti e centinaia di band-cloni spuntano all’orizzone come i tripodi de “La guerra dei mondi”. I video diventano tutti uguali.
Sta accadendo alla musica ciò che è accaduto alla televisione italiana diversi anni fa. Svuotata di contenuti è divenuta un sottofondo per le massaie e un rimbambitore per gli adolescenti.
Ecco perchè a dicembre ho deciso di fare il mio personalissimo sciopero del “Disco del mese”. E avrei potuto farlo anche per molti dei mesi precedenti. In realtà i bei dischi escono ancora. Eccome se escono! Solo che la maggior parte della gente non lo sa. Chi ha un minimo di cognizione di causa saprà che in Italia ci sono i Settlefish piuttosto che Le Luci Della Centrale Elettrica. Per tutti gli altri il gruppo dell’anno saranno i miei quasi compaesani Lost, pop-emo band che galoppa sull’onda lunga dei Finley: grotteschi come la copia di Venezia che sta a Las Vegas.
Ora non vorrei che questo ragionamento venisse scambiato per snobismo o per una sorta di “si-stava-meglio-quando-si-stava-peggio”, anzi. Ben venga il digitale che permette a tutti di registrare un album a prezzi contenuti. Ben vengano i myspace che permettono alle band di promuoversi e organizzarsi i concerti. Il problema è il senso del limite che si sposta sempre un po’ più in là del dovuto. Si bada alla forma più che al contenuto. Siamo partiti dai Take That e dalle Britney Spears, e forse ben prima, per finire a scimmiottare generi e sottoculture della musica rock che prima ci appartenevano ed ora di punto in bianco le vediamo banalizzate e infiocchettate accanto a veline sculettanti. Permettete che mi girino i maroni.
La cura a questo cancro musicale esiste e si chiama “Darwinismo musicale”. Una teoria dell’evoluzione al contrario. Se ti sei bellamente rotto i coglioni delle band di incapaci che popolano i palchi della tua città e infestano i tuoi profili myspace, non andare ai loro concerti, non fare l’ipocrita e far loro i complimenti, non comperare i loro dischi e le loro magliette. Non andare a sentire quel sensazionale quanto mai-sentito-prima gruppo che sta infiammando da due settimane tutti i locali più in di Londra e del quale non sentirai mai più parlare in futuro. Non credere a chi ti parla di “nuovo rinascimento musicale”. Chiudi il rubinetto monetario alle case discografiche e tutto questo in un battibaleno finirà. Buon duemilaotto a tutti, anche a quelli che ho poc’anzi coperto di insulti.

Loro avevano capito tutto.

Da qualche tempo la nuova droga si chiama “mp3 blog”. Comodi, velocissimi, gratuiti, ci si trovano solo file a bitrate altissimi e un sacco di rarità che sul mulo o su solsicche te le scordi.
È così, scartabellando in alcuni di questi blog, tra centinaia e centinaia di dischi messi online, che mi imbatto negli U.D.R., duo post-tutto braziliano formato da MC Carvão e dal Professor Aquaplay.
Inutile dire che questi due simpatici cazzoni brasiliani sono finiti su questo blog per questo, che potete scaricare gratuitamente da qui.
Inutile aggiungere che non sono quattro pezzi che vi cambieranno la vita ma di sicuro, una volta scoperti avranno reso meno inutile la vostra giornata. Anzi, finirà prima che vi accorgiate di aver premuto play. E resovi conto di questo, la vostra personale colonnina “buonumore” subirà un picco da far invidia al prezzo del petrolio.
Ah, il loro indirizzo su myspace è: www.myspace.com/udr666! Chupa isso, Jesus!

«Sarebbe giusto fargli capire come ci si comporta usando gli stessi metodi dei nazisti. Per ogni trevigiano a cui recano danno o disturbo, vengono puniti dieci extracomunitari».

Non sto qui a raccontarvi tutta la storia. Per quella basta leggere l’articolo, sopra linkato, della Tribuna di Treviso.
Al di là delle questioni pratiche, tipo: con che criterio sceglieranno i dieci extracomunitari da punire?
Ne prendono dieci a caso che stanno in prigione e gli impongono pene corporali?
Rastrellano qualche quartiere povero e chi capita capita, basta che sia un “foresto”?
Entrano in una fabbrica a caso nella zona industriale di Treviso e caricano in una camionetta i primi dieci clandestini sottopagati dai nostri imprenditori? Con che criterio stabiliscono quale extracomunitario è papabile di rastrellamento e quale no?
Un americano è extracomunitario; deve temere la frusta del partito leghista? E un cinese? O ci sono delle categorie di extracomunitari preferite per le punizioni?
Dicevo, al di là delle questioni pratiche, è possibile che nessuno dica niente della bestemmia pronunciata da quest’emerito imbecille? È possibile che nessuno si indigni, che nessun politico salti sù? Che non vengano chieste le sue dimissioni?

Credevo di vivere nell’Italia del 2007 e mi ritrovo a leggere un articolo che sarebbe potuto benissimo esser pubblicato nella Germania del 1937, tanta è la leggerezza con cui viene trattato l’argomento. Sembra normale amministrazione. L’extracomunitario ruba, non paga l’affitto, spaccia, stupra le nostre donne e noi per tutta risposta resuscitiamo baffino Hitler e i suoi metodi.
Se la storia è maestra di vita, mi chiedo, qualcuno la studia ancora? A Treviso la insegnano? Qualcuno si ricorda i rastrellamenti che i nazisti fecero anche qui, nel nord-est, per rispondere agli attacchi dei partigini? Mettevano in fila nelle vie dei paesini donne, bambini, anziani, ne prendevano tre per ogni nazista ucciso o ferito dai partigiani e gli sparavano alla nuca.
Nessuno si ricorda o ha studiato di quando eravamo noi italiani ad emigrare in cerca di lavoro, ed eravamo noi a stuprare le donne, ad ammazzare e a rubare, di quando eravamo noi i marocchini o gli albanesi o i rumeni? Di quando in Germania o negli Stati Uniti c’era il problema italiani come ora qui c’è la piaga rumeni?
Esistono paesi, in Europa, ad un paio di ore d’aereo, dove un politico si dimette per esser stato scoperto a non pagare il canone TV. Esistono paesi, come il nostro, nei quali un politico invoca metodi da SS per punire i cittadini stranieri e nessuno dice niente. Ognuno ha quel che si merita.

HARAM – DRESCHER (LOVITT RECORDS)

Gli Haram sono un gruppo prog/rock/punk/chi-più-ne-ha-più-ne-metta formato da ex membri di City Of Caterpillar, Pg. 99 e Malady. Se poi ci aggiungete che il loro precendete album omonimo era a dir poco una bomba allora l’acquisto/download di Drescher è caldamente consigliato. Chitarre a tutto spiano, batteria della madonna e una voce che ti urla in faccia con rabbia ma non solo. Perchè gli Haram sanno alternare momenti di rabbia pura a toni più pacati, più riflessivi, alle volte un filino psichedelici. Un po’ come facevano i Fugazi o come fanno i These Arms Are Snakes. Un sacco di nomi da appuntare e da ascoltare, band imprescindibili secondo me. Un sacco di band che negli Stati Uniti sono dei piccoli fenomeni di culto e che qui in Europa sono ascoltate troppo poco e da troppo pochi. Ora, noto due cose da quanto scritto: che è una recensione in apparenza superficiale e che parlo solo di band che a mio avviso meritano. Il primo fatto è perchè non è facile parlare di una band come gli Haram, sconosciuta ai più senza dare le giuste coordinate per invogliarvi ad ascoltarli. Il secondo non è perchè percepisco tangenti dalle case discografiche ma perchè presumo sia meglio parlare del poco di buono piuttosto che sparare a zero nel mucchio!

SAUL WILLIAMS – THE INEVITABLE RISE AND LIBERATION OF NIGGY TARDUST

Fare o non fare la recensione dell’ultimo disco di Saul Williams? Farla! Anche a costo di sembrare il solito fanboy adorante. The Inevitable Rise And Liberation Of Niggy Tardust infatti è un gran bel disco, prodotto dal solito Trent Reznor che si è occupato di scrivere le musiche per l’amico Saul, poeta e cantante di origini afroamericane. È praticamente Year Zero solo che con un nero che canta, e canta pure molto bene. Ci senti l’orgoglio di appartenere alla comunità nera lì dentro, delle sue tradizioni che però si mescolano con l’elettronica industrial in un’accoppiata abbastanza inusuale. Ma che suona in modo devastante in alcuni passaggi. Come quando Saul Williams si abbandona ad un rap facendosi pure da base, modello beat-box parlante. Poi il beat scuro e ultra-low subentra a dar man forte e si salvi chi può! O come su Sunday Bloody Sunday: sì, proprio quella degli U2! Tirata a lucido per l’occasione suona veramente fresca e potente! Nota a parte per la distribuzione del disco, in stile Radiohead: direttamente dal sito di Saul, gratis la versione mp3 in alta qualità, cinque dollari per quella in FLAC enrambe con artwork in pdf di ben trentatre pagine. Un tentativo fatelo!

SIGUR ROS – HVARF/HEIM (EMI)

Di solito quando si viene a sapere che una band pubblica, assieme ad un Dvd, anche un doppio Cd tutti noi si grida all’operazione commerciale, al bieco lucrare sui risparmi di noi giovani fan. Per i Sigur Ros il discorso è sempre leggermente diverso. Si tratta infatti di un Cd contenente sei brani inediti e un altro contenente delle versioni unplugged-orchestrali di alcuni vecchi brani già presenti in altri album. Beh, i due cd sono uno più bello dell’altro. Nel primo troviamo dei brani che, creando una continuità con Takk, giocano sui suoni e sulle atmosfere, creando dei paesaggi sonori che ti fanno partire in un viaggio onirico attraverso terre ghiacciate, geyser e orizzonti sterminati. Nel secondo disco le atmosfere cambiano, ma non di molto. Gli accenti si spostano sugli strumenti acustici, sugli archi degli Amiina, sui pianoforti. Le canzoni non vengono stravolte, vengono semplicemente spogliate e leggermente rivestite di seta. Vengono trasformate in canzoni da camera da letto (non siate maliziosi, su!, nda), in sottofondi meravigliosi e delicati.

RADIO RIOT RIGHT NOW – HURTS

Potrei raccontarvi tante cose dei Radio Riot Right Now. Potrei parlarvi di com’è un loro concerto, di com’è far due chiacchiere con loro, o ancora di com’è ascoltare i Breach e i Refused al liceo e rimanere folgorati, ad esempio. Vi dirò invece che hanno da poco pubblicato, anzi, hanno da poco messo in download gratuito sul loro sito, Hurts, il loro primo vero album. Vi dirò che Hurts suona meravigliosamente pesante, fastidioso, cupo e angosciante. Vi dirò che è esattamente ciò che vorreste sentire in una di quelle giornate del cazzo in cui dovete sfogare tutto, perchè appena lo farete partire, per quaratatre minuti, non riuscirete più a stare fermi. Hurts suona esattamente come un loro live. Veloce, rabbioso, con le chitarre che fanno i salti mortali e passano da destra a sinistra, la batteria potentissima, la voce che ti prende dentro e ti fa urlare. I pezzi scorrono e non ne trovi uno di ripetitivo o di noioso e stai li incollato, concentrato, quasi rapito da quella sucessioni di semitoni e dissonanze, growl e distorsioni. Un unico grande rammarico: l’assenza dei testi dal file dell’album.

del.icio.us

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